La Cattedrale di San Bartolomeo
27 Febbraio 2021 Chiese Lipari
A cura di Michele Giacomantonio
Premessa
Non meraviglia che chiamata a svolgere il ruolo di grande tempio delle memorie più sacre la Rocca vanti, sul suo territorio, le più importanti chiese delle Eolie a cominciare dalla Cattedrale di San Bartolomeo che ha conteso al “Templum magnum” di cui parla Sam Gregorio da Tours, per oltre mille anni, dal V al XVI secolo il primato nel culto del Santo Patrono quando giunsero a Lipari il 13 febbraio 264, secondo la tradizione, miracolosamente, le spoglie dell’Apostolo e lì inumate continuarono ad essere meta della pietà popolare anche quando furono disperse dai saraceni e definitivamente traslate a Benevento, e questo fino a quando Ariadeno il Barbarossa nel 1544 non ebbe raso al suolo il “Templum” per farne una piattaforma da dove cannoneggiare la Rocca.
La storia
La Cattedrale è la chiesa che sul Castello svetta su tutte le altre ed ognuno può vederla da diverse parti dell’isola. L’edificio attuale ha subìto, dalla primitiva edificazione, numerosi rimaneggiamenti, alcuni dei quali radicali, recuperando del precedente forse solo le pietre, come dovette essere quello operato dai Benedettini dell’Abate Ambrogio sotto l’egida di Ruggero il Normanno, nella seconda metà dell’XI secolo.
La precedente costruzione di stile bizantino doveva risalire al V secolo e dovette essere eretta sui resti di un tempio pagano probabilmente dedicato ad Efesto il dio del fuoco e venne distrutta dalla incursione saracena dell’838 che non risparmiò nemmeno il “templum magnum” dove era conservato il corpo dell’Apostolo. Parte dei resti si salvarono miracolosamente per poi venire dai beneventani trasferiti prima a Sorrento e poi a Benevento.

La chiesa normanna era collegata all’Abazia benedettina e di essa non abbiamo nessuna testimonianza se non che verosimilmente doveva essere a navata unica e con volte ogivali e con un artistico soffitto in legno a capriate. Allora la Cattedrale era il cuore di tutta la comunità, residenza dell’abate prima e del vescovo poi, dove, nelle grandi feste, si ritrovavano praticamente tutti gli abitanti dell’isola. Infatti era la Cattedrale l’unica parrocchia per tutto l’arcipelago dove si celebravano battesimi, matrimoni e funerali. Nelle altre due chiesette dell’isola – quella dell’Annunciazione nei pressi di Piano dei Greci e S. Basilio a Quattropani – il vescovo concedeva ai contadini la messa la domenica con l’eucarestia e le confessioni.
La Cattedrale normanna fu data alle fiamme da Ariadeno il Barbarossa nel 1544 con l’annesso archivio monastico. Su di essa, solo qualche notizia fu fornita dal vescovo Alfonso Vidal in una relazione scritta, nel 1604, in cui annotava che all’interno della vecchia cattedrale erano presenti tre cappelle, sette altari di pietra, quattordici monumenti funerari, una campana priva di campanile, un organo, un vecchio tabernacolo ligneo che Vidal stesso fece sostituire con uno d’argento.
Nel 1131 la chiesa abaziale divenne cattedrale sotto il successore dell’Abate Ambrogio, Giovanni da Pèrgana che era divenuto vescovo grazie all’antipapa Anacleto II per tornare ad essere semplice abate quando nel 1139 il legittimo pontefice Innocenzo II depose Anacleto e tolse a Giovanni il vescovato.
Sul finire del XV secolo si mise mano all’ampliamento della Cattedrale normanna che era divenuta troppo angusta per gli abitanti dell’isola. Si fece un progetto ambizioso che si dovette ridimensionare.
Comunque le risorse locali per le chiese non dovevano essere molte se nel 1517 fra le richieste che i Liparesi fanno all’imperatore Carlo V, perché le trasmetta al Papa, vi sono quelle di un organo, di indumenti liturgici, ornamenti e suppellettili per gli altari, un decoroso tabernacolo e un portale degno di questo nome. Tutte richieste che l’imperatore approva ma per le quali non ritiene giusto disturbare il pontefice e le trasmette al Vescovo. Ma la trascuratezza nei decori e negli arredi non è l’unico problema della Cattedrale. Essa continua a rimanere, malgrado l’ampliamento, un edificio ad una sola navata angusta ed oblunga ed è l’aspetto che conserverà fino al 1772 quando le verrà data la planimetria di oggi. Inoltre la chiesa non disponeva di un vero e proprio sagrato e l’entrata dava immediatamente sulla via principale della cittadina dove si faceva mercato e le grida dei venditori disturbavano le funzioni religiose.
Dal 30 giugno all’11 luglio del 1544 Lipari vive la grande “ruina” ad opera di Ariadeno il Barbarossa, grande ammiraglio della flotta imperiale turca. La flotta che si mette in mare col beneplacito della Francia ed una nave comandata da Strozzi cavaliere di Malta, ha la finalità di tenere in sacco la Spagna e di depredare le coste del mediterraneo. Un’armata imponente composta da 142 navi da battaglia accompagnate da numerose navi da trasporto per stivare il bottino. Quanto agli uomini ve ne erano 23 mila fra ufficiali e marinai, più sette mila truppe da sbarco senza contare i barbareschi.
Il bilancio che Lipari farà della “ruina” è drammatico: più di 8 mila persone deportate in Turchia, di cui molte morte durante il viaggio e poche ritorneranno alle isole; a Lipari le case e le chiese compreso la Cattedrale, distrutte. Le fiamme ridurranno in cenere, il grande soffitto in legno, tutti mobili di legno, i quadri e gli arredi, oltre all’archivio di cui il Campis dirà che si sono così perse ”memorie di gloria non ordinaria e consumati registri di opere meravigliose”.
Dopo la “ruina” ci fu un grande interesse del Papa e del vescovo Baldo Ferratini – che pur continuava a vivere a Roma – per la riedificazione delle chiese ed infatti già a partire dal 1545 vengono costruite le chiese di San Giuseppe, di San Pietro, delle Anime Purganti a Marina Corta ed iniziano i lavori per la Cattedrale che fu completata negli anni successivi. Si mise mano anche alla ricostruzione del palazzo vescovile a fianco alla Cattedrale. Pietro Campis osserva nel “Disegno historico” che la Cattedrale – grazie alla vigilanza e sollecitudine del vescovo – “ è riuscita più nobile che prima fosse, imperciò che quel tempio non è [più] coperto di tavole, ma d’una bellissima volta”: un tetto in muratura volta a botte.
Nei due secoli successivi molti furono gli interventi volti a restituire alla cattedrale un nuovo splendore. Mons. Cataldo fra il 1627 e il 1644 promuoverà un’opera di consolidamento della struttura, quindi la si tinteggerà , la si fornirà di finestre di vetro e di nuove cappelle fra cui quella del battistero con l’antico fonte battesimale che oggi si può scorgere accedendo al chiostro normanno.
A Mons. Calogero Ventimiglia (1694 – 1709), quando novello Vescovo arrivò a Lipari nel 1695 la cattedrale apparve più una spelonca di ladri che una casa di preghiera per questo dedicò ad essa una attenzione particolare. Rinnovò facciata con tre porte che davano l’impressione che la chiesa fosse a tre navate, rifece il pavimento in marmo rosso, il coro, l’altare maggiore, realizzò una cantoria pensile al di sopra della porta centrale e vi installò un nuovo organo. Ma soprattutto fece affrescare la volta cinquecentesca con scene bibliche realizzate fra il 1705 e il 1708.
Nel 1728, per ringraziamento dello scampato pericolo del terremoto del 1693 venne eretto, in onore del Santo patrono San Bartolomeo, un altare di legno intagliato e ornato di fregi d’oro zecchino e commissionato a Palermo il simulacro del Santo in argento.
Un dono sollecitato..
L’altare di San Bartolomeo con la statua in argento sono, abbiamo detto, un dono dell’Amministrazione di Lipari per la protezione ricevuta nel terremoto del 1693.
Per lo scampato pericolo del terremoto i Giurati, il Governatore ed il Consiglio avevano promesso al Santo una nuova festa oltre quella del 24 d’agosto, del 13 febbraio e del 17 giugno (introdotta nel 1541 contro il pericolo della peste); una confraternita a lui dedicata; un altare nuovo decorato in oro e una statua in argento ad altezza naturale.
Ma mentre la festa e la confraternita furono subito realizzate, statua ed altare tardavano ad arrivare. Forse fu necessaria la forte scossa tellurica dell’1 settembre 1726 perché improvvisamente si ebbe una grande accelerazione e nel giro di due anni, dal 1727 al 1728, tutto fu commissionato, approntato e posto in opera facendo ricorso a fondi pubblici locali e contribuzioni di privati. E da quel momento che le processioni del Santo, fino ad allora circoscritte al Castello, cominciarono a snodarsi anche per la città bassa.
Anche altri vescovi seguirono l’esempio di mons. Ventimiglia e proseguirono i lavori di ampliamento. Nel 1755 si cominciò a innalzare il campanile e sotto i vescovi De Francisco (1753-1769) e Prestandrea (1769-1777) si procedette ad una riconfigurazione generale della struttura con la costruzione delle navate laterali e di un nuovo prospetto. La Cattedrale si arricchì di preziosi oggetti di gusto tardo barocco e rococò e ampliata anche la nuova aula capitolare.
Toccò a Mons. Coppola nel 1779 la realizzazione dei grandi quadri collocati sugli altari laterali opera del pittore palermitano Antonio Mercuri.
Le ottocentesche decorazioni dell’interno furono commissionate da mons. Visconte M. Proto (1839–1844) il quale fece abbellire la cattedrale di stucchi e cornici.
Luigi Salvatore D’Austria, durante la sua visita nell’arcipelago, riferisce che l’interno del duomo era ripartito in tre navate, ultimate meno di un secolo prima (1772), e specifica che la navata centrale era divisa dalle laterali per mezzo di quattro archi a tutto sesto su ogni lato, di fronte ai quali erano altrettanti altari racchiusi in arcate cieche. Le ultime trasformazioni risalgono al secolo scorso.
Sulla controfacciata furono collocati la cantoria e l’organo, realizzati nel 1925 su commissione di mons. Salvatore Ballo di cui l’organo porta lo stemma. Nel 1932, nell’area absidale, è stato realizzato il soglio vescovile, per volontà di mons. Bernardino Re, nel 1985, invece, sono state collocate le vetrate istoriate con scene riguardanti la vita del santo patrono.
Il portale di bronzo dell’entrata della Cattedrale fu inaugurato il 16 novembre 1981.
Una visita alla Cattedrale
La volta della navata centrale
La volta della navata centrale si presenta con una serie di volte a crociera impreziosite con episodi biblici di superba fattura e di alto effetto scenografico. Fu Mons. Ventimiglia che le fece realizzare fra il 1705 e il 1708.

Gli altari sulle fiancate laterali
Sulla parete esterna della navata sinistra possiamo ammirare i seguenti manufatti incassati in archi a tutto sesto, rispettivamente gli altari. Ogni altare presenta una pala: otto in tutto volute da Mons. Coppola e realizzate nel 1779 dal pittore palermitano Antonio Mercuri.
- Prima campata: Pala d’altare raffigurante ” San Michele Arcangelo” olio su tela. Busto ligneo dorato di ” Santa Caterina d’Alessandria” opera del XVIII secolo.
- Seconda campata: Pala d’altare raffigurante la ” Madonna del Carmelo” con San Simone Stock , olio su tela. Busto ligneo dorato di ” Santa Lucia Vergine e Martire “.
- Terza campata: Pala d’altare raffigurante il ” Transito din San Francesco d’Assisi “, olio su tela. Busto ligneo dorato della ” Beata Vergine Maria“, opera del XVIII secolo .
- Quarta campata: Pala d’altare raffigurante ” San Calogero Eremita mentre mostra ai poveri che cura presso le terme Teodorico che precipita nel cratere di Vulcano “, olio su tela. Busto d’argento di “San Calogero “, compatrono della diocesi e della città di Lipari, opera del XVIII secolo .
Sulla parete esterna della navata di destra possiamo ammirare i seguenti manufatti incassati in archi a tutto sesto, rispettivamente gli altari:
- Prima campata: Pala d’altare raffigurante “ San Gaetano da Theine“, olio su tela. Busto ligneo dorato di ” San Filippo Apostolo “.
- Seconda campata: Pala d’altare raffigurante ” l’ assunzionew della Beata Vergine Maria” , olio su tela. Busto ligneo dorato di ” San Matteo Apostolo“.
- Terza campata: Pala d’altare raffigurante la “Visitazione della Beata Vergine Maria a Santa Elisabetta“, olio su tela. Busto ligneo dorato di “San Bartolomeo Aopostolo “.
- Quarta campata: Pala d’altare raffigurante “Sant’Agatone e la Traslazione a Lipari delle reliquie di San Bartolomeo Apostolo, anno 264“, olio su tela. Busto ligneo dorato di ” Sant’Agatone” , vescovo di Lipari.
Di particolare interesse le due pale di argomento locale. La prima, quella della quarta campata di sinistra raffigurante San Calogero eremita. La scena che rappresenta il Santo con i poveri malati è ambientato presso l’edificio termale dal quale però non si dovrebbe scorgere il cratere di Vulcano dove sta per essere precipitato l’imperatore Teodorico che non è portato da un cavallo imbizzarrito, come racconta il Carducci nella sua poesia, ma vola seguito da una nuvola su cui sono seduti papa Simmaco e il filosofo Severino Boezio.

Gli altari del transetto
Nel transetto abbiamo a sinistra la Cappella della Madonna del Rosario con sull’altare, in marmi policromi del ‘600 con tinte azzurre e ocra, una tela del XVI secolo Madonna del Rosario , dipinto su tela con raffigurati San Domenico nell’atto di ricevere il rosario, Santa Caterina da Siena , la predica di San Tommaso nella predella delimitata dagli stemmi della città di Lipari. Fanno da cornice i 15 quadretti raffiguranti i misteri del rosario. La tela si trova nella Cappella della Madonna del Rosario a sinistra della porta che conduce in sacrestia. Di fronte a questa tela vi è un quadro raffigurante l’Immacolata Concezione tra l’Apostolo S. Andrea e S.Antonio Abate.
Quindi, spostandoci verso destra, l’altare di San Bartolomeo. Oltre l’altare maggiore vi è la Cappella del Santissimo Crocifisso e quindi la Cappella del Santissimo Sacramento.
Presbiterio
Si giunge di fronte al Presbiterio con il coro ligneo, l’altare maggiore e la cattedra vescovile.
Il Presbiterio è delimitato da una balaustra ai piedi della quale c’è una lapide sul pavimento che evidenzia l’ingresso alla cripta attraverso una scala dell’ ‘800. Nella cripta venivano sepolti i canonici capitolari, seduti su degli scanni con paramenti sacerdotali.
Oltrepassata la balaustra si entra nel Presbiterium dove ci sono gli stalli dei canonici. Esemplari di un artigianato locale degli inizi dell’ ‘800, posti su due file per complessivi 38 posti con lo schienale intagliato a motivi geometrici. Al centro l’altare maggiore in marmi policromi, una splendida opera di metà del XVIII secolo. Nella parte superiore, quattro colonnine di finto marmo con capitelli corinzi sorreggono la trabeazione sulla quale c’è il baldacchino retto da angeli e al centro il crocifisso. Mentre il tabernacolo in bronzo, della seconda metà del XVII secolo, è finemente lavorato con la scena dell’ultima cena in primo piano e angeli e nuvole sullo sfondo. Sempre sull’altare maggiore ci sono sei reliquiari, del XVIII secolo., in argento sbalzato con il piede triangolare in legno, con motivi floreali e teste di angeli.

Gli Organi
Sopra l’uscita centrale della Cattedrale vi è il grande organo commissionato da Mons. Salvatore Ballo. L’organo è del 1925 ed è meno antico di quello più piccolo posto sull’altare maggiore.
Quest’ultimo infatti è del 1763 ed è stato commissionato dal Vescovo Vincenzo Maria de Francisco, di cui porta lo stemma. E’ in noce scolpito con motivi floreali e decorazioni in oro e a colori. Nella parte inferiore c’è la targhetta col nome dell’artista, Emanuele Bongiorno.
Reliquiari e reliquie
Del corpo del Santo a Lipari non sono rimaste che due reliquie: un lembo di pelle e i resti di un dito, riposti in due reliquiari.
Il Vascelluzzo
Un reliquiario in argento contenente un lembo di pelle del Santo che fu donata al Vescovo Mons. Angelo Paino, dal Patriarca e dal Capitolo di Venezia nel 1926. La reliquia arrivò a Lipari la mattina del 22 agosto del 1926 su una torpediniera della Regia Marina che diede fondo nella baia di Portinente. Essa venne riposta nel Vascelluzzo d’argento quando fu realizzato nel 1930 e benedetto il 23 agosto di quell’anno in Cattedrale da Mons. Bernardino Re. Il Vascelluzzo ricorda il Vascello che la tradizione vuole giungesse a Lipari il 12 febbraio del 1672 soccorrendo miracolosamente gli isolani stremati dalla carestia con un carico di grano. La statuetta d’oro posta sul ponte di comando del simulacro vuole rappresentare il Comandante del natante adombrando in lui lo stesso Santo Bartolomeo. Il Vascelluzzo accompagna la statua del Santo nelle processioni.
L’avanbraccio in argento con la reliquia del dito
Un altro reliquario è l’avanbraccio in argento lavorato a sbalzo e a bulino. Al centro una teca di forma ovale mostra il frammento di pelle di San Bartolomeo. In alto la mano stringe il coltello. Probabilmente questa opera proviene dalla bottega degli Juvarra di Messina e risale al secolo XVIII. Se si sa da dove proviene il lembo di pelle più incerta è la provenienza del dito. Potrebbe essere rimasta qui dopo i due prelevamenti ad opera dei beneventani nell’838 e dei pisani nel 1035. A questo proposito si può notare che dalla mano prelevata dai pisani manca proprio il dito pollice. Una storia a proposito di questo pollice affiora qualche decennio dopo il sacco del 1544. La riporta Pietro Campis nella sua Historia che afferma di ricavarla da un manoscritto, andato perduto, di don Benedetto Gualtieri, arcidiacono di Lipari. Durante la distruzione del Barbarossa fu asportata dalla Cattedrale e portata a Costantinopoli una cassettina che conteneva delle reliquie fra cui il pollice di San Bartolomeo. A Costantinopoli uno spagnolo che aveva riguadagnato la sua libertà acquistò quelle reliquie per cinquecento monete d’oro e le portò con se a Napoli. Qui venne colpito da una grave malattia e ricoverato all’Ospedale di San Giacomo. Sentendosi prossimo alla morte consegnò la cassettina con le reliquie al cappellano perché le facesse recapitare ai liparesi dietro compenso di cinquecento monete d’oro che sarebbero andate in beneficio all’Ospedale. Per caso si trovava a passare da Napoli don Martino d’Acugna (1585-1593) che era stato da poco consacrato vescovo di Lipari ed andava a prendere possesso della sua diocesi. Il vescovo informato del fatto sborsò la somma richiesta, prese le reliquie e le portò a Lipari dove, nel 1585 le restituì alla Cattedrale. Oggi questa reliquia è chiusa in una teca d’argento e se ne fa ostensione ai piedi del Santo in tutte le festività celebrate in suo onore.

Lo scranno municipale
Nel 1325 al Comune di Lipari, Federico III d’Aragona concesse un singolare privilegio. Trovandosi egli a navigare nel Basso Tirreno, sorpreso da un fortunale o, forse, da un tentativo di agguato, si rifugiò a Lipari. Era la vigilia della festa di S. Bartolomeo, quella del 24 agosto e volendo partecipare alla cerimonia della Messa in qualità di Legato Pontificio, gli fu allestito in Cattedrale uno scranno quasi dirimpetto al soglio vescovile. Il suo seggio, opportunamente ampliato, egli volle che in seguito venisse occupato dai membri del Municipio ogni qualvolta intervenissero in Cattedrale, alle grandi solennità liturgiche. I tronetto dei rappresentanti municipali, eretto in Cattedrale, sormontato da pensilina e con sull’alzata di tessuto lo stemma reale e quello civico è una tradizione che dura tutt’ora..
Federico d’Aragona, da convinto ghibellino, intese affermare che l’autorità laica era da considerarsi paritaria, in dignità, a quella ecclesiastica, ma al tempo stesso volle dare un riconoscimento alla Amministrazione di Lipari per la calorosa accoglienza fattagli dalla cittadinanza.
Non sempre però questa presenza dello scranno municipale è sta accolta favorevolmente dai Vescovi. Non piacque affatto a Mons. Caccamo giunto a Lipari nell’estate del 1618 per prendere possesso della Diocesi. Quando andò in Cattedrale, tre giorni dopo il suo arrivo, e vide lo scranno delle autorità laiche, spazioso e imponente che attirava gioco forza l’attenzione della gente, mentre, il seggio vescovile, che non era quello odierno in marmo, consisteva in una sedia o poco più relegata dentro il recinto del coro, andò su tutte le furie. Decise così di dare lo sfratto ai Giurati e “rùppio pezzi pezzi dette seggie” e al posto dello scranno pose “una seggia altissima di sei scaloni per sedere lo stesso Vescovo”. Nei giorni seguenti, venuto a più miti consigli, il Vescovo fa ricostruire il seggio ma, colloca di fronte a questo, un proprio seggio anch’esso in legno, ma più alto di quello municipale, creando nella chiesa che era ad una sola navata una strozzatura di impaccio alle funzioni religiose.
Un atto di distensione perso le autorità municipali ma sempre in un clima di scontro con le autorità laiche ed in particolare col capitano d’arme, rendendo la Diocesi ingovernabile tanto che il Papa Urbano VIII decise di richiamarlo a Roma. Ma prima di partire mons. Caccamo volle un ultimo incontro col capitano d’arme ed all’apice di una lite furibonda impugnò un coltello ferendolo mortalmente. Così finì i suoi giorni a Roma ma nelle prigioni vaticane.
La Sacrestia
La Sacrestia è formata da quattro stanze: una entrata, l’aula capitolare a cui si accede dalla porta a destra posta nell’entrata, la stanza che un tempo era dei canonici manzionari che non facevano parte del Capitolo della Cattedrale e a cui si accede dalla seconda porta nell’entrata a sinistra mentre la prima porta a sinistra conduce ad un piccolo magazzino in cui si conservano libri e utensili vari.
Nell’entrata, subito, sulla parte destra vi é una fonte di marmo, probabilmente del XVII secolo, dove un tempo i sacerdoti si lavavano le mani prima della celebrazione della Messa. Si tratta di un sarcofago in marmo con al centro lo stemma di Mons. Alberto Caccamo e due leoni ritti sulle zampe posteriori, sotto le due fontanelle.
Nell’Aula Capitolare che rappresenta oggi la vera e propria Sacrestia vi è un armadio del 700 tutto in noce intagliato, restaurato di recente. E’ lungo otto metri e copre l’intera parete sulla destra entrando e si presenta ricco di intagli e ricami soprattutto nella parte superiore e nel baldacchino. Al centro ha una nicchia con un crocifisso, e sotto a questo un gruppo scultoreo di piccole dimensioni in alabastro in cui è dipinto “il Cristo deriso”. L’armadio ha nella parte superiore due coppie di sportelli per parte e sei gruppi da cinque cassetti ciascuno nella parte inferiore.
Sempre nell’Aula Capitolare in alto, sono appesi tutti i quadri con i ritratti dei vescovi di Lipari più illustri a partire dalla seconda metà del 700.
Nella seconda aula dei canonici così detti manzionari contiene degli stalli ed un altro armadio con i paramenti sacri. Vi sono anche affissi alcuni dipinti: la tela della “Madonna con Bambino fra i Santi Giovanni Battista e Giacomo”; la tela della Trinità con gli angeli in adorazione; il dipinto di S.Agatone del 1700 con gli angeli. Vi é la Dormitio Virginis, un olio su tavola del 1500, dipinto attribuito a Giovanni Filippo Criscuolo. La tavola si divide in due parti: quella inferiore con la Vergine sul letto di morte attorniata dagli Apostoli e quella superiore con l’Assunta fra angeli e cherubini. “La Deposizione”, del XVI secolo, dipinto su tavola proveniente dalla Cappella di Santa Maria della Pietà raffigura in primo piano Maria con il corpo di Gesù deposto sulle sue gambe, circondata da Apostoli e soldati.
Il portale di bronzo
Il 16 novembre 1981 viene inaugurato il portale in bronzo dell’entrata maggiore della Cattedrale. Esso raffigura quattro momenti importanti del legame di S. Bartolo con le Eolie: la grande ruina di Ariadeno il Barbarosssa del 1544; la creazione del monastero dedicato a San Bartolomeo da parte dell’Abate Ambrogio e dei suoi frati sul finire dell’XI secolo; l’arrivo a Lipari del corpo di San Bartolomeo il 13 febbraio del 264; la leggenda della nave miracolosa che giunge a Lipari a portare del grano quando i liparesi sono ormai allo stremo (1672).
Per quanto riguarda il portale :
1 la prima scena rappresenta l’isola di Lipari data al fuoco da Ariadeno il Barbarossa ed intorno ad essa le navi saracene che l’ abbandonano portandosi via i dieci mila abitanti per la gran parte in Turchia dove saranno venduti come schiavi. Dieci giorni resistono i liparesi e probabilmente la caduta fu dovuta ai dissapori all’interno della cittadella.
2. La seconda scena rappresenta la fondazione della chiesa e del monastero dedicati a San Bartolomeo da parte dell’Abate Ambrogio e dei suoi benedettini che erano stati presi a Mileto (Calabria) da Ruggero il Normanno con l’idea di ripristinare a Lipari la antica diocesi ed assumere un punto di prestigio nei confronti del Papa. Nel portale è raffigurato il monastero sulla rocca fortificata.
3. La terza scena rappresenta l’arrivo a Lipari del corpo di San Bartolomeo riassunto in tre immagini: a) il supplizio in Turchia ( decorastus ad improbis),b) San Bartolomeo appare in sogno al Vescovo Agatone e gli dice che sta venendo a Lipari navigando nella sua bara ed approderà a Portinente c) l’arrivo sulla spiaggia di Portinenti e le difficoltà di recuperare la bara dal mare: ci si riuscirà solo utilizzando per trainarla delle “giovenche caste”.
4. La scena è quello che racconta la tradizione. La popolazione di Lipari è affamata e proprio il giorno della festa dell’arrivo di S. Bartolomeo ( 13 febbraio) giunge a Lipari una nave miracolosa carica di grano capitanata da S. Bartolomeo e guidata dagli angeli. La verità storica purtroppo è molto diversa. Il 13 febbraio era la ricorrenza dell’arrivo a Lipari delle spoglie di S.Bartolomeo e la gente, come sempre nelle situazioni di pericolo, si affidava al patrono aumentando le invocazioni e le preghiere. Ed è proprio il 12 febbraio, vigilia della ricorrenza, si vide apparire all’improvviso dinnanzi all’isola “una gran nave, la quale, quantunque combattuta da ogni parte dalli venti infuriati e flagellata dall’onde, non però cedeva punto allo sdegno degli elementi”. Il Campis descrive come il comandante cercasse in tutti i modi di indirizzare il vascello verso Milazzo o una spiaggia della costa tirrenica, ma inutilmente. Il vento consentì una sola manovra, quella di approdare nel porto di Lipari. Qui si scopre che era una tartana francese, denominata S. Bartolomeo, carica di frumento, diretta a Messina. E quando si seppe che Bartolomeo era anche il nome del proprietario, subito si gridò al miracolo e comprato tutto il grano, “si rimediò alle communi miserie per qualche tempo”. E si tratta, questo del vascello pieno di grano, del miracolo più popolare fra gli eoliani assieme a quello dell’arrivo delle reliquie del Santo. A memoria di esso nel 1930 i liparesi fecero realizzare il cosiddetto “Vascelluzzo” in oro ed argento, un reliquiario che conserva un lembo di pelle del Santo.
Comunque al di là della verità storica, sul portale sta scritto: “Piacque a Dio e a S. Bartolomeo togliere la carestia dalla città con un evidente miracolo”.
La facciata
La spettacolare facciata della Cattedrale si apre sulla scenografica scalinata con la sua straordinaria bellezza e slancio verso il cielo. L’incedere sul percorso pedonale consente di scoprire gradualmente le maestose proporzioni dell’intero complesso. La facciata è contraddistinta da due ingressi laterali minori e da un portone principale, impreziositi da portali marmorei costituiti da colonne ioniche sormontate da capitelli in stile corinzio che incorniciano gli ingressi fino agli architravi con timpani costituiti da volute a ricciolo. L’architrave dell’ingresso principale reca incisa l’iscrizione ‘‘DIVO BARTOLOMEO DICATUM’’. I due timpani laterali all’interno recano delle steli riccamente scolpite e decorate. Le entrate laterali sono sormontate da finestre vetrate riccamente incorniciate con arco superiore, al centro, la nicchia con emisfero a conchiglia simbolo del pellegrinaggio, contenente la statua del Santo, chiude un finestrone vetrata con timpano mistilineo.
Dal punto di vista dell’osservatore, sul lato sinistro completa il prospetto anteriore dell’edificio, la massiccia torre campanaria a sezione quadrangolare, costituita da quattro ordini eretta fra il 1755 e la fine del secolo. Pilastri e cornicioni in pietra lavica delimitano i primi tre livelli caratterizzati da: finestre ovoidali cieche al primo, monofore al secondo, monofore aperte nella cella campanaria del terzo, orologio fra volute decorative a NW e finestrelle circolari sulle restanti facciate, realizzate in pietra viva con elementi decorativi e ornamentali, timpani sospesi e davanzali. La cella cilindrica presenta monofore aperte, timpani ad arco sospesi e targhe per iscrizioni.
La cattedrale di San Bartolomeo é un edificio variegato nei suoi stili che si compongono e si integrano in armonia.
Il Chiostro normanno
A fianco alla Cattedrale, accessibile dall’antico battistero, si può ammirare il bellissimo chiostro normanno che da circa trent’anni è stato riportato all’antico splendore.
Dal IX secolo d C., per lungo tempo, in seguito alle continue invasioni arabe l’isola di Lipari era quasi completamente disabitata. Quando arrivarono i Normanni con l’intento di rianimarle, trovarono a Lipari solo un ristretto numero di abitanti di lingua greca. Così nel 1083 il conte Ruggiero inviò dei monaci benedettini che vivevano a Rosarno guidati dal loro abate , l’abate Ambrogio probabilmente di provenienza lombarda e forse dal convento cluniacense di San Maiolo a Pavia.. Questi apprezzarono molto la bellezza e la serenità del luogo così costruirono una piccola
chiesa con a fianco un monastero. Probabilmente fu realizzato anche un piccolo chiostro, ma quello vero che noi ammiriamo oggi venne fatto all’epoca del re normanno Ruggero II intorno al 1131. Il monastero e relativo chiostro vennero ricostruiti secondo i modelli benedettini cluniacensi, la chiesa era in primo piano rivolta a nord seguiva il chiostro a sud dove i monaci svolgevano gran parte della loro giornata quindi proseguiva con il monastero. La pace continuò per numerosi anni e i monaci guidarono la riorganizzazione del territorio e il ripopolamento dell’isola. Ma terribile e disastrosa fu l’invasione dei turchi nel 1544. Tutto venne distrutto con un incendio e la popolazione resa schiava. Subito Carlo V iniziò l’opera di ricostruzione, egli sentì viva l’esigenza di fortificare il castello con mura inespugnabili, inoltre la cattedrale venne riedificata più grande, simbolo vivo della cristianità e della fede degli isolani. Si estese sul lato nord del chiostro.
Ormai il chiostro non aveva più il suo ruolo principale, venne adibito a cimitero e ricoperto per oltre un metro. In seguito ad un terremoto venne poi soffocato da un muraglione che lo faceva quasi completamente scomparire.
Solo da pochi decenni fu riscoperto nella sua naturale bellezza, infatti nel 1978 Luigi Pastore curiosando tra gli ambienti attigui la cattedrale notò dei capitelli e subito avvisò le autorità competenti.
Oggi appare in tutta la sua bellezza ed è motivo di continue visite turistiche.. Al centro c’era un giardino avvolto ai lati da una galleria con colonnato. Il lato nord venne distrutto e annesso alla chiesa dopo un restauro. Le colonne esistenti hanno un particolare pregio perché provenivano da case ed edifici greci, romani e bizantini. Rappresentano così una sorta di sintesi delle culture precedenti.
Di interesse sono alcuni capitelli raffiguranti animali mostruosi o colombe che beccano datteri. Probabilmente furono fatti da un artigiano ad imitazione della scuola benedettina cluniacense.
Rimangono anche frammenti di pavimenti antichi molto facili a sgretolarsi i quali sono stati quindi accuratamente protetti in fase di restauro.