Trekking naturalistico ad Alicudi a cura di Associazione Nesos
27 Febbraio 2021 Trekking Alicudi
Trekking Alicudi
Alicudi non è “anche” un’isola per gli appassionati di trekking, bensì un luogo in realtà esclusivamente destinato a questi ultimi. L’intera rete viaria, a esclusione del breve tratto costiero che collega il pontile alla centrale elettrica, è costituita da strade pedonali con scalini in pietra che mettono in connessione le varie contrade e si spingono sino alla sommità dell’isola; gli scalini sono diventati qui l’unità di misura delle distanze.
Trekking ad Alicudi
Una passeggiata imperdibile è quella che dal porto conduce alla chiesa di San Bartolo, la più antica dell’isola (XVII secolo), a circa 350 m s.l.m.; il percorso si snoda tra le case, spesso vivacemente colorate e ornate dalle caratteristiche “pulera”, le colonne poste a margine del terrazzo e destinate a reggere il “pergolato” che ombreggia l’ingresso e la zona esterna delle abitazioni rurali. Superato il B&B “Da Rosina”, una lunga scalinata raggiunge l’orlo di un profondo vallone e piega verso sinistra, costeggiandolo. Sul lato opposto, lungo il versante settentrionale del vallone, sorge un gruppo di case incastonate in successione tra le rocce, chiamate localmente “le case dei cinque sensi”; in alto, invece, un filare di robinie nasconde appena la facciata color giallo stinto della chiesa. Un ultimo sforzo permette di arrivare al “bagghiu” (baglio) antistante l’edificio, da dove si gode una splendida vista su Filicudi e il faraglione della Canna, mentre all’orizzonte si distinguono le più lontane Salina, Lipari e Vulcano; da questo punto si ha una percezione immediata della vastità del mare attorno all’isola e, allo stesso tempo, di quanto sia remota la sua collocazione nel contesto dell’arcipelago. La chiesa è quasi sempre chiusa, perché le funzioni vengono tenute regolarmente nell’altra, più moderna, che sorge non lontano dal porto. Tuttavia, la sua presenza in questo luogo apparentemente solitario rivela un aspetto importante della storia dell’isola: gli abitanti che l’hanno ricolonizzata a partire dal Seicento erano soprattutto contadini, costretti a difendersi dai frequenti attacchi dei pirati. Non disponendo di armi né di fortificazioni, la loro sopravvivenza consisteva nella possibilità di avvistare il nemico con sufficiente anticipo per rifugiarsi in montagna, ed è per questo che la chiesa e l’abitato originario si trovano nella parte alta di Alicudi.
Per ritornare al porto è possibile effettuare un anello, imboccando la prima stradella a destra che si incontra qualche decina di metri più in basso della chiesa; da qui si attraversano le contrade Passo Vigna e Molino, per scendere da una delle varie e ripide scalinate in direzione del mare o spingersi più a Sud, fino a contrada Tonna.
Per chi invece non avesse esaurito le forze e desideri continuare l’avventura di trekking ad Alicudi, l’isola riserva il meglio di sé proseguendo oltre la chiesa verso la sommità. Dopo un centinaio di scalini si incontra la casa di una coppia anglosassone che vive qui gran parte dell’anno; lei organizza sessioni di yoga. Più avanti, un boschetto di lecci cela alcune “mannare”, rifugi in pietra per animali e contadini, realizzati all’interno di poderosi muri in pietra a secco. L’intero versante è segnato da una continua successione di terrazzamenti, costruiti per rendere coltivabile il ripido pendio e oggi in gran parte abbandonati. Salendo ancora, a circa 450 m s.l.m. si incontra l’abitato di Montagna: una ventina di case, alcune ristrutturate per essere affittate a turisti in cerca di assoluto eremitaggio, altre ormai in stato ruderale, rappresentano ciò che resta del primo insediamento seicentesco di Alicudi.
Bisogna superare il villaggio e qualche altra rampa di scale per giungere infine alle “Pianure” (o “Dirittusu”), un luogo magico e solitario che sembra essere rimasto tagliato fuori dallo scorrere del tempo: un ampio pianoro circoscritto tra le due cime dell’isola (Filo dell’Arpa e Montagnole, 663 e 676 m s.l.m.) e le guglie triangolari che ne delimitano il lato Nord, resti di un collasso vulcano-tettonico avvenuto intorno a 60.000 anni fa. Qui, nei poderi oggi invasi da felci aquiline, rovi e rose balsamine, fino a mezzo secolo fa si coltivavano l’orzo e le lenticchie necessari per il sostentamento della piccola comunità alicudara. Un sentiero in terra battuta li attraversa per raggiungere il ciglio delle inaccessibili falesie esposte a Ovest; affacciandosi da questo punto panoramico, in basso si osserva lo scoglio Galera, frammento di uno dei numerosi dicchi dell’isola, formazioni basaltiche disposte radialmente lungo i versanti che rappresentano deformazioni superficiali prodotte dalla risalita del magma durante le varie eruzioni; nelle giornate di migliore visibilità e con un occhio allenato, può capitare di distinguere all’orizzonte addirittura la sagoma evanescente di Ustica, ma è più probabile che si veda soltanto la costa occidentale della Sicilia, interrotta dal promontorio di Cefalù.
Le falesie rappresentano un sito naturalistico di straordinaria importanza. Ogni estate, dopo una lunga migrazione dalla lontana Africa orientale, vi torna a nidificare una colonia di falchi della regina; negli ultimi anni il numero delle coppie è aumentato, e oggi se ne contano più di una sessantina, impegnate in acrobatici inseguimenti dei piccoli migratori che servono a nutrire la prole e prepararla per il lungo viaggio autunnale verso le zone di svernamento. In primavera, invece, le rocce si colorano di vistosi fiori gialli: è la violaciocca di Brullo (Erysimum brulloi), una specie endemica scoperta nel 2009 che vive esclusivamente in quest’isola.